24 ottobre 2025 – Sul red carpet con le Vele di Scampia: quando il cinema restituisce dignità

 

di Monica Buonanno

C’è qualcosa di profondamente rivoluzionario nel vedere sfilare sul red carpet della Festa del Cinema di Roma una Vela di Scampia di cartapesta. Non un abito di alta moda, non l’ennesima celebrità patinata, ma il simbolo di una delle periferie più stereotipate d’Italia, portato con orgoglio dal Comitato Vele di Scampia per la presentazione del docufilm La diaspora delle vele di Francesca Comencini.

Quel red carpet è diventato improvvisamente un altro luogo, un’altra cosa. Non più passerella dello spettacolo, ma palcoscenico di una battaglia per il diritto all’abitare, per il riconoscimento di esistenze troppo spesso ridotte a cronaca nera o a sfondo di fiction. È stato un momento carico di potenza simbolica: Scampia che entra dalla porta principale nel tempio del cinema italiano, non come oggetto del racconto altrui, ma come soggetto narrante della propria storia.

Contro gli stereotipi

Le Vele sono state per decenni l’immagine facile con cui raccontare il degrado, la criminalità, l’abbandono. Un’icona negativa su cui si è costruito un immaginario frettoloso e violento, che ha fatto più male degli edifici fatiscenti stessi. Ma le donne e gli uomini che hanno abitato e lottato per quelle Vele sanno che dentro quelle strutture c’erano e ci sono vite, relazioni, comunità. E lo hanno raccontato nel docufilm con una semplicità commovente e allo stesso tempo con una durezza che va dritta alle coscienze di chi quel degrado in qualche modo lo ha facilitato.

Il docufilm di Francesca Comencini racconta la vita di quelle donne e di quegli uomini dal 22 luglio 2024, quando un ballatoio della Vela Celeste ha ceduto ed hanno perso la vita tre persone e dodici sono rimaste gravemente ferite; racconta lo sgretolamento di un tessuto sociale, la dispersione forzata di chi ha visto abbattere non solo cemento, ma reti di solidarietà, memorie condivise, un senso di appartenenza faticosamente costruito. E il Comitato ha portato questa verità sul red carpet, ribaltando la narrazione dominante.

Verità contro retorica

In momenti come questi è facile cadere nella retorica, nelle formule consolatorie, nelle celebrazioni vuote che lasciano tutto com’è. È tentante trasformare il dolore in spettacolo, la lotta in folklore, la resistenza in immagine da consumare e dimenticare. Ma Scampia non ha bisogno di retorica ma di verità.

La verità è che quelle Vele sono state abbandonate nel corso di lunghi decenni, fino ad una svolta significativa – se pur lenta, attesa la situazione – datata dai primi anni duemila in poi. La verità è che le persone dopo gli sgomberi sono “disperse”. La verità è scomoda, non si presta ai titoli facili né alle narrazioni edificanti. Ma è l’unica cosa che restituisce dignità. Ed è l’unica cosa che può cambiare le cose. Il docufilm di Comencini sceglie questa strada: non abbellisce, non consola, non assolve. Testimonia.

Una bandiera palestinese sulla Vela: geografie della resistenza

Sulla Vela di cartapesta è stata issata una bandiera della Palestina. Un gesto che collega le battaglie: il diritto all’abitare a Scampia e il diritto all’esistenza in Palestina si parlano, si riconoscono. Sono periferie del mondo, geografiche ed esistenziali, che si stringono la mano. Sono le resistenze che non accettano di essere cancellate, né fisicamente né simbolicamente. Sono avanguardie rivoluzionarie che non vogliono cedere.

Quel gesto dice che la lotta per la casa, per la dignità, per il riconoscimento non è mai solo locale. È sempre parte di una geografia più vasta delle oppressioni e delle resistenze. E il cinema, quando è vero, quando dà voce e non toglie parola, può essere il luogo dove queste connessioni possono manifestarsi ed essere raccontate senza sovrastrutture, in modo crudo.

Il valore di esserci

Sfilare su quel red carpet è stato uno spazio conquistato. Le battaglie delle donne e degli uomini di Scampia per il diritto all’abitare sono battaglie di civiltà, che riguardano tutti noi. Quelle battaglie da oltre quaranta anni sono combattute per politiche pubbliche che smettano di produrre ghetti e poi di sgomberarli o abbatterli senza alternative; sono combattute perché le persone vengono prima del cemento e delle speculazioni. Sono battaglie che chiedono che nessuno venga lasciato indietro.

E Scampia era lì, su quel red carpet, con la Vela di cartapesta e la bandiera, a dire che il quartiere esiste oltre lo stereotipo, che merita rispetto, che la sua storia è parte della storia del nostro Paese. Eravamo tutte e tutti lì per ricordare che la politica deve sapere guardare avanti, valorizzando e rafforzando quanto di buono è stato fatto nel passato, senza cedere alle sirene dei facili bagliori. Eravamo lì per affermare che il cinema può essere strumento di giustizia quando sceglie di stare dalla parte di chi non ha voce.

Quel red carpet, per una sera, è stato nostro. E ha significato tutto.

 

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