
di Tonino Scala
A Napoli, qualche giorno fa, cinque ragazzi sono stati aggrediti a Pianura. Non era notte fonda, non era un vicolo isolato, non erano ubriachi o molesti. Erano solo cinque ragazzi. Cinque lavoratori. Cinque esseri umani.
Fuggiti dal loro Paese per motivi politici, rifugiati, perseguitati. Non clandestini, non numeri. Persone. Con nomi, volti, storie. A Napoli avevano trovato un laboratorio di pasticceria dove mettere le mani in pasta e il cuore a posto. Pasticceri bravi, dicono. Bravissimi.
Poi, come un coltello dentro il cornetto della speranza, è arrivato il razzismo. La violenza. L’aggressione.
Uno ha il braccio rotto. Da due settimane non può lavorare. Gli altri portano addosso le cicatrici dell’umiliazione, del dolore, della paura. Sono stati accerchiati, picchiati, offesi, presi a calci dalla stessa città che li aveva accolti. O forse che li aveva solo tollerati.
La cosa che fa più male, più del braccio rotto, più dei punti, più delle notti insonni, è il silenzio.
Non una dichiarazione. Non una parola. Non un titolo in prima pagina. Non una condanna istituzionale. Non un Salvini che sbraita. Non una Meloni che promette. Non un telegiornale che apra con la notizia. Nulla. Silenzio.
A parti inverse sarebbe stato un inferno mediatico. A parti inverse ci sarebbero stati plastici, servizi speciali, editoriali indignati, sfilate politiche, interrogazioni parlamentari. Invece nulla. Perché sono stranieri. Perché non fanno notizia. Perché non valgono abbastanza da meritare un po’ di voce.
Ma io, invece, li voglio nominare. Anche se non conosco i loro nomi. Perché sono fratelli. Perché sono lavoratori. Perché sono il futuro di questa città che si dice meticcia, ma a volte dimentica la sua anima. Perché questa non è solo un’aggressione, è un segnale. È un pericolo. È un allarme che dobbiamo sentire, prima che sia troppo tardi.
Siamo tutti chiamati a rispondere. Come cittadini, come istituzioni, come esseri umani.
Io sto con quei ragazzi. Sto con le loro mani impastate di zucchero e fatica. Sto con la loro voglia di vivere. E pretendo giustizia. Pretendo indagini. Pretendo nomi e cognomi degli aggressori. Pretendo una condanna chiara, pubblica, senza se e senza ma.
La sicurezza non è un privilegio per pochi. È un diritto per tutti.
Il razzismo non è un’opinione. È un crimine.
E Napoli non può permettersi di diventare complice. Ne va della sua storia. Ne va della sua bellezza. Ne va della sua umanità.
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