
di Tonino Scala
Come si può essere, nello stesso tempo, educatrici e complici? Simboli della legalità nelle aule scolastiche, eppure così vicine al cuore pulsante dell’illegalità. Il caso delle due donne, insegnanti pubbliche, finite nell’orbita delle indagini sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, scuote dalle fondamenta la fiducia nella funzione educativa e richiama alla necessità di un esame profondo, scomodo, ma ormai ineludibile.
Nell’intervista rilasciata a *Avvenire* dal magistrato Massimo Russo, già sostituto procuratore antimafia, emerge un quadro che definire inquietante è un eufemismo: donne che condividevano, in parte o del tutto, i codici culturali di Cosa nostra, capaci di offrire appoggio, rifugio e protezione al boss dei boss – e, allo stesso tempo, insegnanti di scuola. Docenti. Figure che, per vocazione e ruolo, dovrebbero rappresentare i pilastri dell’etica pubblica, i modelli per le nuove generazioni, gli architetti di un futuro fondato sulla giustizia e sulla libertà.
E allora, cosa succede quando l’aula scolastica diventa la maschera perfetta? Quando dietro la lavagna si nasconde l’ombra della mafia? È qui che lo sdoppiamento diventa un abisso morale: da un lato la lezione di educazione civica, dall’altro l’omertà e il favoreggiamento di un uomo che ha incarnato per trent’anni la violenza e il silenzio.
«Quelle di Laura Bonafede e Florinda Calcagno sono posizioni e storie inquietanti, le più perniciose», afferma Russo. Non solo perché indicano una complicità sentimentale e logistica, ma soprattutto perché mostrano come l’infiltrazione mafiosa possa insinuarsi persino dove meno ce lo aspetteremmo: nei corridoi delle scuole, tra i registri elettronici e i temi sulla legalità.
La scuola è, o dovrebbe essere, un baluardo contro la cultura mafiosa. Un presidio etico. Se chi insegna ha una doppia vita, la credibilità dell’intero sistema educativo vacilla. Non basta insegnare il rispetto delle regole: occorre incarnarlo. Ed è su questo che la politica, le istituzioni scolastiche e la società tutta sono chiamate a interrogarsi. Perché se la mafia riesce a trovare appoggio anche tra i banchi di scuola, allora nessun luogo può dirsi davvero al sicuro.
La domanda è semplice e terribile: che cosa insegnavano davvero queste donne?
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