Rocco Cusano: sono positivo – Il mio grido di dolore rimasto inascoltato

di Floriana Mastandrea

Rocco Cusano lo considero ormai un amico insieme a cui combattere e dare voce anche a chi, in questa
tragedia del Coronavirus, non ne ha: ci teniamo costantemente in contatto. Positivo al tampone, è
affannato, provato psicologicamente e deve provvedere ai due figli adolescenti, scioccati a loro volta per
quanto sta accadendo, tanto che mi confida, mangiano poco. Lo sento parlare in modo affannato, ma
appassionato. C’è così tanta anima in ciò che dice, che mentre lo ascolto, mi immedesimo talmente da
sudare.
La prima domanda mi sorge spontanea: Rocco, come sta tua moglie?
Ieri ha temuto di essere verso un exitus, pensava che io glielo nascondessi. Le hanno praticato l’emogas
(prelievo di sangue arterioso per verificare i gas disciolti nel sangue: ossigeno e anidride carbonica, nonché i
sali minerali) per monitorare la funzionalità respiratoria. L’ hanno bucata talmente tante volte, che non ce
la faceva più, poi hanno usato l’ecografo per verificare la necessità di ulteriori prelievi di emogas, così
stanotte le hanno messo la maschera di Venturi (quando non bastano gli “occhialini” nel naso, si usa la
maschera che prende naso e bocca, fornendo concentrazioni di ossigeno nel sangue fino al 60%, a scapito
dell’anidride carbonica), che le ha dato un po’ di beneficio. Oggi le hanno applicato la CPAP (ventilazione
meccanica) per farla riposare un po’. La CPAP consente di aumentare la pressione all’interno dei polmoni
immettendo un certo volume di aria: in pratica un ventilatore. Si può dire dunque, che la condizione di mia
moglie è stazionaria, con un leggerissimo miglioramento ed è ricoverata in lungodegenza nel reparto di
Neurologia dedicato al Covid, dove su 32 persone previste, ce ne sono già 27, stando ai dati di ieri.
Quando anche la CPAP non dovesse bastare, come si procede?
In questo caso, il paziente va addormentato praticandogli l’intubazione oro-tracheale. Attualmente ad
Ariano gli intubati presso il Frangipane sono sette, occupano tutti i posti previsti. Se dovesse servire per mia
moglie, ma spero proprio di no, non c’è posto! Come non c’è posto, per chiunque dovesse averne bisogno.
Conoscendo le carenze dell’Ospedale Frangipane, che ben si evidenziano in questi giorni convulsi, ho urlato
già da tempo di potenziarlo. Ho levato un grido di dolore, inascoltato. Ho lavorato ben 22 anni in terapia
intensiva coronarica battendomi per strappare la gente alla morte e non voglio essere arrivato a 54 anni,
per contare i morti: per un professionista della salute questo è un fallimento! Ne approfitto per ricordare
l’interessamento del personale medico e infermieristico verso tutti i pazienti e ringraziarlo dell’enorme
lavoro. Quel personale, che giova ricordarlo, non è composto da lavativi, come qualche governatore
vorrebbe far apparire, ma che con dedizione, a volte persino senza i necessari dispositivi di protezione
personale e senza aver fatto i tamponi, sta mettendo a repentaglio la propria salute ogni giorno per
dedicarsi ai pazienti.
Allo stato attuale, la nostra sanità si muove più sulle competenze o sulla politica?
Sulla politica, senza dubbio! Io mi sono creato un’esperienza trentennale basandomi sulle mie sole forze:
cinque anni di scuole superiori, tre anni di corsi regionali, una riconversione creditizia a Chieti di un anno,
quattro master, ora mi manca soltanto la tesi per conseguire la laurea magistrale. Sono stato consigliere,
tesoriere, vice-presidente nell’ordine degli infermieri. L’ospedale è la mia seconda casa: ho guadagnato
stima e affetto sul campo dedicandomi al prossimo: in questi giorni… (si blocca per l’emozione) ho ricevuto
tanti attestati di stima e affetto da parte della gente. Oggi è necessario potenziare l’ospedale, far arrivare i
dispositivi sanitari di protezione e i ventilatori per la terapia sub-intensiva.
Credi che il dato attuale degli infetti da Coronavirus ad Ariano sia corretto?
È fortemente sottostimato. Faccio l’esempio della mia famiglia: mia moglie positiva, io positivo, i miei
genitori, che vivono in casa con noi, sono sintomatici, hanno febbre e tosse. Mi aspetto che siano positivi,
ma non hanno fatto ancora il tampone. Come loro, molti altri non risultano all’appello. In tanti mi chiamano
per chiedermi come fare per allertare il servizio epidemiologico per praticare i tamponi a persone di
famiglia sintomatiche, con difficoltà respiratorie, tosse e febbre superiore a 37 e mezzo. Per avere numeri
concreti, proporrei di inserire gli ipotetici positivi, magari utilizzando le sole iniziali, per evidenziare chi sono
e quante, le persone in attesa del tampone. Non si può dire che la curva si stia appiattendo, quando per
un’intera provincia di circa 450 mila persone, si riescono a fare al massimo una cinquantina di tamponi al
giorno al Moscati di Avellino! Il servizio epidemiologico di prevenzione da chiamare per chiedere il
tampone, non risponde: lavora sotto organico, non ha tamponi a sufficienza. Domenica ho chiamato il
medico della ASL che ci segue, chiedendo di fare il tampone ai miei genitori e il referto del mio, fatto 3
giorni prima. Solo allora ho saputo della mia positività! Ieri avrebbero dovuto farlo ai miei genitori, ma fino
ad ora, non si è visto nessuno. Temo che questa situazione peggiorerà: se oggi, che abbiamo una quota
apparentemente bassa di infetti, curiamo pazienti provenienti da Napoli, qualora aumentassero i nostri,
dove li metteremmo? Bisognerà quantomeno riaprire strutture chiuse, come l’ex Moscati, il Maffucci di
Avellino, l’ospedale di Bisaccia, tutti plessi che sono già dotati di una rete di distribuzione di gas medicale.
Siamo il secondo Comune della provincia e sembra che stiamo diventando un satellite di Sant’Angelo dei
Lombardi, dove si sta spostando persino la specialistica: non lo si può consentire.

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