Contro l’emergenza incendi: la strategia della prevenzione

di Sirio Conte

“Ogn’anno, il due novembre, c’è l’usanza…” Inizia in questo modo ‘A livella, la celebre poesia di Totò. Definisce così una reiterazione, come si dice oggi un loop, un evento che periodicamente si ripresenta. Ed egualmente da alcuni anni, allo scoccare dell’estate, si ripresenta l’emergenza incendi. Se ne parla parecchio, allarmati articoli di giornale, i cittadini preoccupati, alcuni coinvolti da misure di evacuazione, gli operatori in mobilitazione straordinaria, il conto dei danni sempre più ingenti, qualche promessa di misure più adeguate e poi, con il calare delle fiamme, a poco a poco ci si scorda della questione fino alla sua riesplosione la prossima estate.
Quest’anno la sorte ha voluto che a pochi giorni dalla presentazione del piano regionale scoppiassero quasi in contemporanea diversi incendi che hanno interessato più punti del territorio, colpendo anche alcune città capoluogo a partire da Napoli. Dall’area casertana fino ai confini del Cilento, le fiamme hanno mandato letteralmente in fumo ogni velleità istituzionale di continuare a trattare con sufficienza burocratica una questione di tale gravità.
Perché chiaramente non si può continuare così e si avverte sempre più l’esigenza di una strategia complessiva, strutturale ed efficace affinché si possa raggiungere l’obiettivo “roghi zero”.
Partendo da una considerazione di fondo, le fiamme sono l’epifenomeno di una condizione complessiva frutto di più fattori, il principale dei quali è l’abbandono da parte dei poteri istituzionali di ogni volontà di affrontare radicalmente il problema. Eppure questo secolo cominciava in Italia con l’approvazione della legge 353/2000 che ridefiniva la concezione dell’antincendio boschivo e tentava di costruire una visione complessiva fondata sulla prevenzione. Infatti nell’articolo 4 viene sottolineata la centralità delle attività di previsione e prevenzione, con un ruolo decisivo delle Regioni in base all’articolo 117 della Costituzione. Nell’articolo 7, la legge definiva inoltre il ruolo fondamentale sia dei Vigili del Fuoco che del Corpo Forestale dello Stato. Ma successivamente, ed in modo del tutto propagandistico, il governo Renzi nel 2016 decise di sciogliere proprio il CFS aprendo un vuoto operativo che ancora adesso non si è riusciti a colmare.
Nel corso degli anni abbiamo assistito allo slittamento progressivo delle politiche antincendio dalla logica della prevenzione a quella della emergenza, determinando la riduzione di una questione complessa a semplice tema da protezione civile. Con i risultati che abbiamo tutti quanti sotto gli occhi.
Senza scomodare lo storico dei dati, da quel fatidico 2017 in poi, appare evidente che il sistema funziona poco. E ad aggravare il tutto contribuisce lo sdoganamento a livello politico di un sentimento antiscientifico che sconfina letteralmente nella negazione della realtà. Infatti nonostante i richiami della comunità scientifica e la constatazione empirica da parte dei cittadini, si continua, se non a negare completamente, a non affrontare il fenomeno dei cambiamenti climatici e dell’innalzamento delle temperature. Da questo punto di vista, e osservando il panorama internazionale, andrebbero diffuse le buone pratiche avanzate in alcune aree metropolitane che puntano al rimboschimento ed alla naturalizzazione di ampi settori urbani per contrastare l’aumento delle temperature, dando anche indicazioni per l’uso di materiali innovativi in edilizia. Al tempo stesso è di primaria importanza il superamento della produzione di energia attraverso la combustione, favorendo invece quelle energie rinnovabili ad emissioni zero, in particolare il fotovoltaico. La lotta ai cambiamenti climatici è un tassello fondamentale, anche se non diretto, per il contrasto agli incendi. Altri elementi decisivi sono il costante monitoraggio del territorio a partire dai punti di innesco statisticamente più rilevanti e desumibili dai dati a disposizione sugli incendi, e la continua cura delle aree boschive, cui l’impatto antropico produce fragilità.
Soprattutto occorre riportare al centro di una nuova visione proprio la prevenzione, sapendo che significa definire un’attività strutturale e costante nel tempo, quindi non ridotta alla semplice stagione cosiddetta di massima allerta. Ma un’operazione di questo tipo comporta una centralità del lavoro ed una strategia di occupazione stabile, una grande capacità di azione sinergica e di innovazione. Nel corso degli anni l’apporto del volontariato è diventato via via prevalente rispetto alla struttura professionale in campo, facendo nei fatti azione di surroga e contribuendo ad eludere il tema della necessità di nuove assunzioni. Sia chiaro che nulla abbiamo contro il volontariato, anzi sempre la partecipazione della cittadinanza attiva è un elemento di fondamentale importanza. Ma appunto deve essere un contributo aggiuntivo e non sostitutivo all’impegno diretto dello Stato.
Il Piano regionale antincendio (2025/27) approvato giorni fa dalla Regione Campania con delibera 368, va proprio nella direzione opposta a quella che segnaliamo. Infatti su 2.259 operatori previsti, più della metà, vale a dire 1.213 sono appartenenti alle organizzazioni di volontariato addirittura ad alcuni di questi viene affidato il ruolo delicato di Direzione delle Operazioni di Spegnimento, che nel passato in gran parte era ricoperto proprio dalla Guardia Forestale. Ci sarebbe inoltre da aggiungere che tra gli operatori professionali l’età è particolarmente avanzata e non sempre compatibile con le difficoltà ed i rischi delle attività sul campo. Anche dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica dopo l’abbandono delle UPR, il sistema di rilevamento degli incendi, ci si è basati su pattugliamenti e segnalazioni che non sempre garantiscono una risposta celere alla propagazione del fuoco. Per questo un cambio di passo diventa necessario sia a livello nazionale che regionale per evitare di trasformare il dramma degli incendi in una sorta di rituale ricorrenza “ogn’anno, d’estate, c’è l’usanza…”.

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