
di Sirio Conte
“Signor Presidente, caro Donald, congratulazioni e grazie per la tua azione decisiva in Iran, davvero straordinaria, che nessun altro avrebbe osato compiere. Ci rende tutti più sicuri. Stasera volerai verso un altro grande successo all’Aia””Non è stato facile, ma siamo riusciti a far firmare a tutti il 5%! Donald, ci hai condotti a un momento davvero importante per l’America, l’Europa e il mondo. Raggiungerai qualcosa che nessun presidente americano è riuscito a fare negli ultimi decenni. L’Europa pagherà molto, come è giusto che sia, e sarà una tua vittoria. Buon viaggio e ci vediamo alla cena di Sua Maestà!”
Con questo scandaloso esempio di servilismo, il messaggio che il segretario generale della Nato Mark Rutte ha inviato al presidente americano, e che Trump ha pensato bene di rendere pubblico, si apre all’Aia il vertice dei paesi aderenti alla Nato. Al centro della discussione il vero e proprio diktat che gli Usa hanno lanciato ai paesi europei: portare le spese militari al 5% del PIL. Questo accordo comporta per tutti gli alleati, ed anche per l’Italia, l’impegno a raggiungere entro il 2035 un duplice impegno finanziario. Da una parte il 3,5% del Pil in spese militari tradizionali, vale a dire investimenti in armi, mezzi, munizione, costi operativi, stipendi e pensioni del personale delle forze armate, spese per le missioni internazionali e – novità – per il sostegno militare all’Ucraina. Dall’altra un ulteriore 1,5% del Pil in spese per la sicurezza nazionale in senso lato, vale a dire per cybersicurezza, per rafforzamento di infrastrutture critiche (centrali elettriche e reti di telecomunicazione terrestri e satellitari), efficientamento delle infrastrutture strategiche di mobilità militare (ferrovie, strade, ponti, porti e aeroporti), difesa delle frontiere, mezzi e personale delle forze di polizia militare, presidi medici contro attacchi nucleari chimici e batteriologici, oltre ad altri capitoli di spesa scelti in maniera discrezionale, ma comunque attinenti.
Al netto di questo, risulta evidente che l’obiettivo dell’1,5% in sicurezza sarà agevolmente conseguibile solo conteggiando sotto questa voce una vasta gamma di spese già sostenute o già programmate, per di più con la possibilità di attingere ai fondi europei del Pnrr che già prevede capitoli di spesa in alcuni di questi settori: dalla cybersicurezza alle telecomunicazioni, dalle reti energetiche alle infrastrutture strategiche e di mobilità militare.
Il punto critico, dal punto di vista finanziario, riguarda dunque il raggiungimento dell’obiettivo del 3,5% in spese militari direttamente intese per le quali andranno reperite risorse aggiuntive nel bilancio dello Stato. Tenendo presente che l’impegno attualmente è l’1,57% del Pil, significa che ci vorranno quasi due punti di Pil aggiuntivi per arrivare al target del 3,5%. In valore assoluto vuol dire che l’Italia, per portare in dieci anni la spesa militare annua dagli attuali 35 miliardi agli oltre 100 miliardi, dovrà reperire ogni anno, per un decennio, nuove risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi.. Questo si traduce in un impegno cumulativo decennale di spesa di quasi 700 miliardi di euro, circa 220 miliardi in più rispetto a quello che si spenderebbe in dieci anni se invece del 3,5% si puntasse a raggiungere il 2% in spese militari con aumenti annuali medi nell’ordine dei 2 miliardi. Nel merito ciò si traduce in un incredibile flusso finanziario verso l’industria militare americana, esattamente ciò che Trump aveva chiesto quando avviò la “tarantella” dei dazi, lasciando agli europei una duplice opzione: o acquistare titoli di stato USA o acquistare armi americane.
Appare ancor più paradossale che i leaders (si fa per dire) europei hanno acconsentito all’estorsione da parte dell’unico paese che ha più volte minacciato di invadere un territorio dell’UE. Ricordiamo, infatti, le continue dichiarazioni di Trump sulla Groenlandia.
Tutta questa operazione si tradurrà nella ulteriore stretta alle politiche sociali e quindi con tagli significativi a sanità, scuola, trasporti, solidarietà. Si avverte quindi sempre più la necessità di una reale alternativa nelle politiche dei paesi europei che rigettino il ricatto americano e riconsiderino il tema della reale autonomia dell’Unione a sostegno dei cittadini e non del sistema militare.
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