Sanità: è giunto il momento di fare sul serio

Documento di Sinistra Italiana Campania

Da pochi giorni è operativo l’ospedale modulare allestito a Napoli. De Luca ha presentato quella struttura, allestita nel parcheggio di quello che risulterebbe essere il fiore all’occhiello del sistema ospedaliero campano, che conta al momento  48 posti, di cui 12 di terapia intensiva e  costato sette  milioni di euro, come il massimo sforzo della sanità campana nella battaglia al Covid-19. Riteniamo questa affermazione non solo falsa, ma fuorviante. Allo stadio attuale del contagio, questo ospedale prefabbricato non serve più, come hanno ammesso anche le autorità sanitarie. Ma il paradosso è che l’ospedale è stato posto davanti a un presidio che vede attualmente 10 reparti potenzialmente già pronti e completi di attrezzature, ma chiusi per mancanza di personale. Una scelta paradossale che dice molto sullo sulla gestione della sanità campana da parte dell’amministrazione regionale.

A nostro avviso questa vicenda evidenzia come la (non) strategia di De Luca nel contrasto al coronavirus sia stata inefficace al punto di non aver prodotto danni più gravi solo per la ridotta diffusione del virus nella nostra regione. La sanità campana, reduce da anni di commissariamento conclusosi lo scorso dicembre, appare a tutt’oggi drammaticamente inadeguata non soltanto rispetto all’impegnativa battaglia contro il coronavirus. Basti pensare che a inizio febbraio in tutta la Campania erano disponibili circa 50 posti di sub-intensiva. Numeri assolutamente inadeguati anche in condizioni normali.  Tutto questo non sorprende, se si considera che la Campania dal 2012 al 2017 si è collocata all’ultimo posto per i LEA (livelli essenziali di assistenza).  In base alla griglia dei Lea 2017, peggio della Campania (con 153 punti) ha fatto solo la Calabria (136).

Non si capisce del resto come questo livello potesse essere migliorato, vista la gestione della sanità regionale che in pochi anni ha bloccando il fisiologico turn over lasciando a casa 45.000 unità lavorative e resi gli organici pesantemente sottodimensionati.  La Campania è la regione che più di tutte ha tagliato le risorse per pagare il personale dipendente, in gran parte medici e infermieri. Dal 2009 al 2018 il calo della spesa per il personale sanitario è stato del 19,7%. Si è scesi da 3 miliardi e 265 milioni a 2 miliardi e 590 milioni del 2017, risaliti poi di circa 31 milioni nel 2018, primo anno con un piccolo incremento. Mediamente in Italia il calo è stato del 3,9%, e in diverse regioni c’è stato invece un aumento. A tutti è chiaro che la diminuzione drastica del personale medico ha inficiato la qualità del servizio reso ai cittadini. Se De Luca si attribuisce il merito di aver risanato il bilancio della sanità,  si deve sapere che lo ha fatto sulla pelle del diritto alla salute dei  campani.

A questo vanno aggiunte le condizioni a dir poco deplorevoli di alcuni presidi ospedalieri. Sono ancora vivi nella memoria i molteplici episodi che hanno interessato il San Giovanni Bosco di Napoli, compresa l’inframmettenza della criminalità organizzata nella gestione del nosocomio. Non è l’unica struttura ospedaliera in Campania in condizioni di grave deficit di manutenzione. Tuttavia, nel febbraio 2017 furono assegnati alla Campania i fondi per i lavori di ristrutturazione e adeguamento edilizio della rete ospedaliera e territoriale pubblica, ma le risorse assegnate alla sulla base dei riparti effettuati dalle delibere Cipe non sono mai state utilizzate. La Corte dei Conti ha certificato che la Campania ha speso solo un terzo degli 1,7 miliardi circa attribuiti per l’edilizia sanitaria, cioè 535 milioni. In questo scenario sono a dir poco sorprendenti casi come quello del Ruggi D’Aragona di Salerno, dove è stato sdoppiato il reparto cardiologia, e dove, casualmente, diventa primario di uno dei reparti il dottor Enrico Coscioni, consigliere per la sanità di De Luca.

Il vulnus più grave portato al diritto alla salute appare però la chiusura di importanti presidi ospedalieri. Per tutti grida vendetta la chiusura dell’ospedale di Agropoli che ha lasciato priva di un presidio sanitario la vasta area densamente popolata che vi afferisce. Di molti presidi in provincia si è evitata la chiusura nel corso degli anni solo grazie alle mobilitazioni di amministrazioni e cittadini. Nella sola città di Napoli, in vista dell’attivazione dell’Ospedale del mare, si è quasi  svuotato il Loreto mare, fondamentale presidio ospedaliero dell’area orientale. Si sono chiusi reparti o interi plessi ospedalieri nel centro cittadino: il San Gennaro, l’Annunziata, gli Incurabili, quest’ultimo ora totalmente inagibile. Il direttore generale della Asl Napoli 1, Verdoliva, nel difendere la scelta di non attrezzare per il Covid tali presidi in parte ancora attivi, ha evidenziato l’inagibilità delle strutture. Intanto, va segnalato che la regione ha lanciato un concorso di idee, stanziando per tale finalità la somma di 400 mila euro, per trasformare gli Incurabili in uno Hospice a gestione privata.

Va poi ricordato che il rapporto con la sanità convenzionata ha sempre rappresentato un punto irrinunciabile della politica sanitaria dell’amministrazione De Luca. Solo nel 2018 si è avuta  una lievitazione rispetto al 2017 di 128 milioni di euro spesi attraverso il privato tra assistenza ospedaliera, specialistica ambulatoriale e assistenza riabilitativa. La Campania  ha purtroppo il primato il numero di “morti evitabili”. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (marzo 2019), la Campania è anche la prima regione italiana per mortalità materna. Tuttavia sussiste una corsa alla surroga della sanità privata rispetto a quella pubblica che appare irrefrenabile. Anche nel corso di questa emergenza, come denunciato dal giornale Fanpage, risulta che diversi pazienti Covid siano stati trasferiti da strutture pubbliche presso cliniche convenzionate senza che in nelle prime risulti una saturazione di posti letto disponibili. Su questo chiediamo il più rapido ed esauriente chiarimento.

Sono in corso indagini della procura della Repubblica di Napoli su un appalto che sembrava costruito su misura per assegnare la procedura di esame dei tamponi a un istituto di analisi privato. In Campania però non mancano strutture pubbliche dotate delle competenze e delle tecnologie necessarie per procedere all’esame dei tamponi. Nessuna di queste è stata consultata dalla regione Campania. Ricordiamo bene lo slogan di De Luca “mai più ultimi”. Intanto la Campania è ancora ultima tra le regioni italiani nel numero di tamponi effettuati. Dopo aver messo alla prova il suo dubbio senso dell’umorismo su coloro che a suo dire sarebbero stati affetti da “tamponite” per aver chiesto con insistenza insieme ad altri la necessità di aumentare drasticamente il numero di tamponi effettuati, De Luca ha annunciato screening di massa. È il caso di dire: benvenuto tra i malati di “tamponite”,.

Al netto di queste carenze, che già rappresentano un handicap di non poco conto, tutta la direzione dell’emergenza risulta inadeguata e frutto di improvvisazione. Una inadeguatezza che De Luca ha cercato di mascherare con le sue intemerate propagandistiche. La Campania ha attualmente poco più di 300 posti letto in terapia intensiva. Il fantasioso raddoppiamento di questa cifra promesso già un mese fa da De Luca come realizzabile nel giro di pochi giorni non è mai avvenuto. Laddove sono stati indicati alcuni nosocomi della regione  come ospedali Covid, questi sono risultati del tutto carenti di strumenti, personale e addirittura si è accertata la mancanza di percorsi idonei. Tanto è vero che gli ospedali di Castellammare di Stabia e di Pozzuoli sono diventati focolai in cui il contagio si è diffuso soprattutto tra il personale sanitario. Boscotrecase solo Covid ha un alto, anzi altissimo tasso di mortalità divenendo ultima spiaggia in assenza di altri interventi. Ad Ariano Irpino, l’ospedale Frangipane, prima degli altri, ha subito la stessa sorte. Per non parlare della vicenda che riguarda l’Agro-nocerino-sarnese con l’ospedale di Nocera Inferiore che ha visto chiusa la chirurgia, o Mercato San Severino che da giorni aspetta oltre 30 tamponi del personale sanitario. Altri focolai  hanno visto coinvolti al Moscati e diverse  RSA nella regione.

Al posto del Presidente De Luca faremmo in modo di cedere il passo delle sue personali ambizioni alle ragioni della tutela della salute dei campani. Comprendiamo la sua ansia per la rielezione. Ma crediamo che al primo posto venga il diritto dei cittadini a cure veloci ed efficaci. Per settimane abbiamo  registrato casi drammatici di  persone con sintomi di contagio abbandonati al loro destino nelle proprie abitazioni, oltre a casi di persone con sintomi decedute per mancanza di cure anche dopo la segnalazione alle strutture competenti. Non riteniamo che tali circostanze si spieghino solo con l’eccezionalità di un’epidemia imprevedibile fino a poche settimane fa. Molte di quelle situazioni si sarebbero potute evitare se si fosse lavorato, anche nella logica dell’equilibrio di bilancio, a mantenere una presenza diffusa della rete dei presidi ospedalieri, a privilegiare la diffusione omogenea del personale sanitario; se non si fosse depauperata la medicina territoriale che in queste circostanze sarebbe state preziosa; e se non si fosse vista nella sanità regionale prevalentemente uno snodo di generazione e moltiplicazione di consensi elettorali e di baronìe sanitarie.

Non crediamo che a De Luca vada attribuito il merito per aver fermato il coronavirus. Al contrario, crediamo che a De Luca vada attribuita la responsabilità, per gli anni in cui ha governato, dell’indebolimento della sanità campana e del diritto alla salute dei cittadini. Ed è di questo dovrà rispondere davanti agli elettori.

 

 

Sinistra Italiana Campania

 

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