Settimana nazionale della celiachia

di Gabriella Notorio

Una malattia sociale. La celiachia, non è solo una malattia autoimmune ma sociale. Tra discriminazioni e stereotipi viene riconosciuta ufficialmente come tale nel 2005 con la Legge n.123 del 4 Luglio.

Seppur in costante incremento, con più di 250 mila pazienti diagnosticati, la celiachia appare ancora poco compresa e gestita in modo differenziato sul piano delle attività commerciali, dell’hospitality e della ristorazione, trovando una scarsa disponibilità dei prodotti e degli alimenti dovuta spesso alla mancanza di locali separati e di personale esperto. Personale non informato sulla lavorazione degli impasti, per i quali occorre uno studio preciso ed approfondito, ma anche non adeguamente informato sulla preparazione, conservazione e cottura degli alimenti, processi che devono avvenire in modo totalmente separato da quello contenente invece glutine (grano, frumento, farro et al.).

Contaminare un alimento o cucinarlo negli stessi ambienti, con mestoli ed utensili usati per quelli con glutine, senza protezione e sicurezza, vuol dire ledere la salute di un soggetto celiaco dal momento che anche la più piccola porzione di glutine ingerita involontariamente o per errore grossolano rischia di generare gravi danni alla salute. Danni latenti e di lungo periodo anche per un soggetto che potrebbe non esternalizzare reazioni evidenti all’atto dell’ingestione di glutine.

La frenesia dei celiaci nel controllare il consumo dei propri pasti e le etichette dei prodotti vuol dire fare attenzione anche rispetto a quelli che possono contenere “tracce di glutine”.

 

Regolamentazione e bonus

 

La regolamentazione della celiachia diverge di paese in paese ed in Italia esistono sostanziali differenze di regione in regione, ma anche tra province e città.

Non esistono differenze in ambito medico.

Non esistono “livelli più o meno gravi di celiachia”. Non esiste “l’essere più o meno celiaco”. Si è celiaci è basta.

Dunque, se sul piano sociale molte persone celiache spesso finiscono per sottrarsi alla partecipazione di pranzi e cene, temendo la contaminazione, ed in altri casi non trovano alimenti e prodotti senza glutine al pari degli altri, sul versante economico sussiste un ulteriore problema. L’accesso alla diagnosi e alle cure varia, infatti, in base alla regione e alla situazione economica in cui versa.

A Trento un bambino celiaco fino a 5 anni di età percepisce 168 euro , un preadolescente da 10 a 13 anni di età maschio 300 euro mentre una femmina 270 euro. Un adulto maschio da

da 18 a 59 anni di età 330 se femmina 270.

Dopo il costo si abbassa con l’età.

A Napoli invece anni il budget è di 56 euro al mese per i bambini, mentre per gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni, il budget è di 124 euro al mese per i maschi e 99 per le femmine. Per gli adulti maschi 110 euro mentre per le donne adulte 90 euro.

Decisamente complicato essere celiaci in Campania.

In Campania, la Celiachia prima era considerata una malattia rara, mentre oggi, data l’incidenza, è indicata come malattia cronica. I pazienti, dunque, hanno esenzioni per il follow-up di alcuni esami diagnostici specifici e vengono assistiti con la consegna del buono mensile.

Tale buono non è tuttavia spendibile ovunque ma solo in negozi o farmacie convenzionate con le Asl, dove però il costo di un prodotto è decisamente superiore a quello che lo stesso prodotto presenta se acquistato in un supermercato, dove però il buono non può essere speso. I costi dei prodotti senza glutine non sono affatto omogenei ed addirittura si presentano più elevati in alcune zone rispetto ad altre di unl stesso Comune.

Inoltre il buono non è valido in altre province della stessa Regione e neanche da un comune all’altro. Per cui spostandosi da Napoli a Salerno o da Napoli a Quarto, per fare un esempio, non è possibile acquistare prodotti per celiaci con il proprio buono a meno che non vi sono precise convenzioni.

Concedersi un pezzo di pane caldo è davvero una questione di lusso, perché i prodotti freschi da forno non sono accettati nel buono, senza considerare il fatto che non sempre si trovano panifici o rosticcerie senza glutine nei dintorni della propria zona di residenza. Stesso discorso per i dolci freschi di pasticceria.

Se per un soggetto adulto, uomo o donna che sia, questo può non rappresentare un reale problema, non si può dire lo stesso per un adolescente o un bambino, che per strada non ha la possibilità di fare uno spuntino o la colazione.

Sicuramente rispetto al passato la situazione è decisamente migliorata ma restano ancora troppi problemi che riguardano la gestione della celiachia in modo uniformato. Ciò che è piuttosto chiaro è che dalla celiachia non si guarisce, per cui mangiare senza glutine non è un capriccio né una moda del momento, ma è una questione di salute.

Trattandosi poi di una malattia di tipo genetico, potrebbero trovarsi più soggetti celiaci in una stessa famiglia alla quale i buoni mensili non risulterebbero ugualmente sufficiente a ricoprire il fabbisogno personale. I costi gravano dunque sul reddito familiare e rischiano di impoverire sempre più le famiglie in cui vivono persone con celiachia.

 

Verso l’inclusione

 

Per la comunità delle persone celiache sarebbe necessario giungere ad una parità di trattamento sociale, economico e sanitario.

Trattamento sociale paritario, senza distinzioni di budget tra età e sesso. Una donna o una persona anziana hanno un budget minore di un uomo adulto medio e benché questo dipenda dai diversi fabbisogni calorici giornalieri, per le donne minore di un uomo e per un bambino minore di un adulto, qui però la questione non è ciò che ognuno dovrebbe mangiare a tavola in un giorno ma quello che si deve acquistare in un mese per la propria dieta quotidiana. Non può essere il valore del budget economico il metro di paragone sulla questione fabbisogno o esigenza nutrizionale.

La Regione Campania dovrebbe dunque attivare una maggioranza sensibilizzazione sul tema con la promozione di politiche per la celiachia ed operare, senza distinzioni di genere o di budget, considerando i bisogni reali dei pazienti.

Così possiamo iniziare a parlare forse di un corretto trattamento sanitario paritario senza dimenticare la necessità di attivare politiche di prevenzione, perché celiaci si diventa e non si nasce soltanto. E i numeri ci ricordano l’incremento del fenomeno in tutte le fasce di età.

Trattamento sociale. La Celiachia non può essere veicolo di esclusione sociale. Le attività di ristorazione devono cominciare ad avere disponibilità di cucine e prodotti senza glutine e la Regione Campania potrebbe farsi promotrice di finanziamenti o voucher per aiutare le attività a dotarsi di tutto ciò che è necessario, coinvolgendo anche le associazioni più importanti sul tema, come l’AIC.

Inoltre, l’idea di comprare in luoghi solo convenzionati alle Asl o alle farmacie trasferisce sempre quell’ambigua identificazione della persona con la malattia, che incide sull’idea di Sé. Consentire di acquistare nei supermercati con il proprio budget mensile consente ai celiaci di non sentirsi “diversi”.

Siamo nel 2025, per quanto tempo ancora un celiaco deve sentirsi fuori dal mondo e fuori dalla società? Per quanto tempo deve vivere la sua criticità con il senso di diversità?

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