La marcia su Roma, la banalizzazione del fascismo e dell’antifascismo

di Tonino Scala*

 

“In questo mese di ottobre, nel quale cade il centenario della marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica”. Queste le parole della senatrice a vita Liliana Segre in apertura della seduta della XIX legislatura di palazzo Madama.

Il fato a volte fa delle scelte ben precise lanciandoci un monito proprio mentre gli eredi di quella storia tornano al governo, grazie al mandato conferitogli dal popolo.

Si chiama democrazia quella che in quel ventennio l’Italia lasciò nel cassetto, un po’ per scelta, un po’ per convenienza, un po’ per stupidità dando senza troppi fronzoli all’uomo forte il potere condizionando, per sempre, il futuro dell’Italia e pure dell’Europa.

Il 28 ottobre del lontano, ma vicino, 1922 ci fu l’epilogo di una marcia sul potere preceduta da violenze fasciste iniziate già nel 1919. Nel 1921, 141 sezioni del Partito socialista furono assaltate, 59 case del popolo sfasciate, 197 sedi di cooperative e 83 edifici delle leghe distrutte. Atti di violenza, soprusi che proseguirono anche nell’anno successivo fino a quella data, a quella marcia, a quel 28 ottobre del ‘22 che diede il via al funesto ventennio fascista. Una vera e propria strategia della tensione utile a preparare il terreno per la marcia su Roma, per la presa del potere e l’instaurazione della dittatura di Benito Mussolini. Cosa che si è ripetuta anche negli anni successivi anche dopo la liberazione.

Accadde anche nella mia città, a Castellammare di Staia, il 21 gennaio del 1921 nel giorno in cui si spaccò il partito socialista e nacque il partito comunista d’Italia.Una diaspora che dovrebbe insegnarci molte cose, ma la storia siamo bravi a riporta in un cassetto e non farne mai tesoro.

Palazzo Farnese era occupato da 120 militanti socialisti, con loro c’erano anche tanti operai che manifestavano pacificamente a difesa del loro Municipio.

Erano tutti disarmati. Erano a Piazza Spartaco unicamente per scoraggiare un eventuale aggressione da parte del corteo composto da nazionalisti e fascisti. Non avrebbero mai immaginando che si potesse arrivare ad una strage costruita a tavolino per sovvertire l’ordine democratico, per cacciare i socialisti dal palazzo. Il giorno successivo alla strage, i colpevoli e condannati, nonostante quello che era accaduto dovevano essere obbligatoriamente i socialisti, i rossi un po’ come accade ai giorni nostri. Sembra che sia sempre colpa dei comunisti che questo Paese non lo hanno mai governato! Su questa e su altre vicende simili si scatenò senza alcun ritegno l’intera stampa borghese. Dopo la tragedia di Castellammare. Persecuzioni ed arresti di nostri compagni titolerà così l’Avanti il 22 gennaio del 1922.

Violenza, violenza e ancora violenza. Violenza fisica e morale. Una violenza inaudita che aveva un unico scopo, mettere in fuorigioco la democrazia, alterare la competizione elettorale, sovvertire il sistema istituzionale.

I fascisti imposero con forza, con le minacce, le aggressioni, le dimissioni ai sindaci socialisti. Nel 1920 furono rovesciati con forza ben 289 comuni, nel 1921 altri 365.

Tremila saranno i morti causati dalle bande fasciste dal 1919 al 1922 fino al giorno della marcia dei marci su Roma quando Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di formare un nuovo governo. Poi la dittatura.

Il fascismo fu il colpo di coda della Prima guerra mondiale. In quel contesto storico molti elementi condizionarono la vita quotidiana. La ricerca dell’uomo forte, il mito dell’azione, quello dell’avventura, il voler affrontare la morte a viso aperto condizionando il destino.

Il fascismo intrepretò questi sentimenti ed ebbe la capacità di trasformarli in politica. Se a questo aggiungiamo il terreno facile dell’instabilità politica, la rabbia dell’incertezza il gioco è fatto.

È chiaro che il fascismo forse non si poteva fermare, ma la marcia su Roma sì!

Ed è per questo che bisogna ricordare quei momenti, per non dimenticare, quel pezzo di storia è carne viva in un Paese che ha banalizzato nel corso degli ultimi 30 anni da un lato il fascismo, dall’altro l’antifascismo. Come si fa a banalizzare l’omicidio di Matteotti?

E lo squadrismo?

Il rapporto con Hitler?

La dittatura?

La guerra?

Il confino?

Le purghe?

E le leggi razziali?

E la resistenza?

Non bisogna fare parallelismi tra cicli storici, sarebbe un errore.

Bisogna però stare attenti ad un elemento comune a tutte le ere: la rabbia del popolo.

Il sentire comune rispetto alle distorsioni della democrazia che sembra per la vulgata avere un valore solo per i garantiti, non per tutti.

Questa rabbia, oggi e sempre, ha bisogno di ascolto, perché c’è il rischio di mettere in discussione, involontariamente, la democrazia stessa. E questo sarebbe un pericolo mortale.

La democrazia è complessa, faticosa così come è un lavoraccio garantire gli spazi della partecipazione per migliorarla, ma insieme.

Ieri come oggi la scorciatoia dell’uomo solo al comando sembra la cosa più rapida e sicura.

Per questo è stato ed è banale e soprattutto pericoloso banalizzare, scusate il gioco di parole, il fascismo. Perché si rischia di rendere ancor più banale la democrazia che, come diceva Winston Churchill è il metodo di governo peggiore eccetto tutti gli altri.

Cosa fare allora?

Innanzitutto fare memoria, poi bisogna avere la capacità di parlare ai ceti del bisogno, bisogna tornare a lottare e sognare in modo collettivo per l’emancipazione, la crescita della società.

Chi lo dovrebbe fare? Tutti, nessuno escluso.

 

*Coordinatore Regionale Sinistra Italiana Campania

 

 

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