Stefania Fanelli: Abbiamo il dovere di provare a cambiare il destino di questa Regionelista “Terra”, Stefania Fanelli

Di Giuseppina Buscaino Nebbia

Per le regionali in Campania è nata una lista civica ambientalista e non solo, per proporre un nuovo modello di sviluppo. Si chiama “TERRA”: secondo i promotori, salute e ambiente, oggi sono la sfida più alta che abbiamo di fronte. Vi hanno aderito associazioni, organizzazioni del mondo del lavoro, forze politiche e cittadini singoli. TERRA intende contrapporsi alla vecchia politica senza promesse demagogiche. Ci sono due candidati copresidenti: Stefania Fanelli e Luca Saltalamacchia. Stefania Fanelli è consigliera al Comune di Marano, ma soprattutto una storica attivista del movimento antidiscarica dell’area nord di Napoli. Luca Saltalamacchia, è un avvocato ambientalista che ha vinto importanti cause, persino contro ENI. Hanno scelto la copresidenza, attingendo dalla tradizione democratica curda. Propongono una lista per un futuro di sostenibile.
Abbiamo intervistato Stefania Fanelli, chiedendole anzitutto il motivo della candidatura…
Quando le compagne, i compagni e i movimenti, mi hanno chiesto di candidarmi, ci ho dovuto riflettere un po’ perché non è una sfida semplice. Poi ho pensato: quando in un progetto ci credi veramente non puoi tirarti indietro. La credibilità di un progetto la danno anche i profili e la credibilità delle storie personali che lo sostengono. I progetti sono portati avanti da gambe e braccia, da testa e cuore di donne e uomini della nostra terra. Ho pensato che tutti insieme
abbiamo il dovere di provarci fino in fondo, a cambiare il destino di questa Regione.
Cosa pensi della gestione De Luca, cosa critichi e cosa ritieni abbia fatto di buono?
L’aspetto migliore non l’ho ancora trovato. Sulle politiche abitative ad es., nonostante alla Regione dal 1971, ben prima della riforma del titolo quinto, spetti il compito di legiferare su una politica pubblica del diritto alla casa l’amministrazione, De Luca ha fatto un gran pasticcio. In effetti la loro riforma, è una controriforma poiché non ha finanziato nulla: i pochi provvedimenti derivano da fondi nazionali. Ha centralizzato tutto in capo alla Regione, esautorando di fatto i Comuni. Ha eliminato i bandi speciali per l’emergenza abitativa, un disastro. Sulle linee guida per accedere ai fondi per la morosità incolpevole, ha davvero combinato un guaio, rendendo inaccessibile l’effettiva partecipazione a quei fondi. Non si è riusciti a bloccare gli sfratti per morosità incolpevole per quei cittadini che hanno perso il lavoro, o hanno un lavoro povero o precario, perdendo di fatto la capacità reddituale di sostenere un canone di affitto di mercato, che incide di circa il 30% sul salario. Nessun piano per dare risposte al diritto alla casa. E soprattutto Ambiente, Sanità e Trasporti, sono il totale fallimento dell’amministrazione De Luca.
Come ha gestito i trasporti l’amministrazione De Luca?
Al sistema dei trasporti Campania non servono nuove opere miliardarie basate su una visione Napolicentrica, ma piuttosto realizzare linee tranviarie moderne per collegare i Comuni delle aree metropolitane ad alta densità abitativa e gli snodi di spostamento (porto/aeroporto/Ferrovie). Allo stato attuale, abbiamo l’EAV cioè sia la rete Vesuviana che Cumana, a gestione regionale, che offre all’utenza un servizio imbarazzante sia in termini qualitativi che quantitativi. La metropolitana di Napoli 1 sconta una cantierizzazione ormai cinquantennale, con conseguenti ritardi di consegne che intrecciandosi, con crisi economica e ultimamente il Covid, continuano a spostare in avanti consegne che dovevano già essere state rese disponibili alla città con la diretta conseguenza che siamo ben oltre la media europea dei tre minuti di attesa. La stazione ferroviaria di Afragola consegnata senza alcun collegamento su ferro, è una beffa per i cittadini delle aree metropolitane. I collegamenti regionali ferroviari scontano come in tutto il Paese, poche corse negli orari da pendolari (quindi affollamento ) treni vecchi e spesso sporchi. In vista dei fondi del Recovery fund, tutto il settore merita urgenti investimenti e una rivisitazione profonda gestionale di base pubblica, per sostituire la macchina privata come principale mezzo di spostamento dei cittadini in Campania.
Un disegno economico criminale, ha fatto diventare la Campania la pattumiera d’Italia: l’incenerimento illegale dei rifiuti, gli incendi che cancellano le tracce delle discariche abusive, i commissariamenti straordinari. Come contrastare questo andazzo?
Un cartello tra malapolitica, malaffare ed imprenditoria, ha condannato a morte una Regione, dandole il primato per morti di tumore in Campania: 5.000 l’anno.
La camorra ha interrato negli anni 80-2000, qualsiasi rifiuto industriale tossico nocivo in queste terre, con la complicità delle aziende del centro nord (Calvi\Sparanise\Giugliano\Pianura…).
Nella terra dei fuochi i roghi sono in enorme parte la conseguenza dello smaltimento
degli scarti di lavorazione delle migliaia di aziende tessili (ma non solo) che producono in nero tra Napoli e Caserta, che non potendo essere eliminati regolarmente, vengono bruciati utilizzando manovalanza di disperati o dell’eliminazione di plastiche raccolte, ma non riciclabili
perché sporche, dagli stessi centri di raccolta.
Questo fenomeno ha prodotto 12.747 roghi tossici tra il 2012 e il 2018 tra Napoli e Caserta e quindi 4.247 siti da bonificare. Bisogna costruire subito una filiera pubblica per lo smaltimento dei rifiuti speciali e un grande osservatorio sulle aziende che ancora lavorano nel sommerso.
Sulla gestione dei rifiuti si materializza tutto il fallimento delle gestioni Caldoro e De Luca. Il piano delle azioni per il contrasto dell’abbandono e dello sversamento illegale dei rifiuti e contro i roghi dolosi sancito dalla delibera di giunta regionale N. 548 del 10/10/2016 è totalmente fallito.
Come è totalmente fallito il piano del ciclo dei rifiuti giacché lo stesso Viceprefetto Iorio dichiarò la scorsa estate, quando partecipai ad un’ audizione in Regione Campania in una seduta di commissione sui roghi tossici, che erano aumentati del 26% i roghi dei rifiuti solidi urbani domestici. La crisi della frazione organica dell’estate scorsa ne è un chiaro esempio. L’impiantistica sul compostaggio è rimasta ferma agli annunci, senza il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità locali, come la rimozione delle ecoballe, così come i piani delle bonifiche dei siti inquinati. I biodigestori, visti come la soluzione per l’umido, però non vanno costruiti in area di coltivazione di prodotti biologici di eccellenza, come per il biodigestore che vorrebbero costruire a Chianche in Irpinia, dove si coltiva il Greco di Tufo, che produce un vino bianco DOCG conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Non vanno costruiti in questo tipo di territorio, perché i biodigestori anaerobici producono percolato, che è incompatibile con la vocazione di queste aeree.
Nei prossimi 15 anni nel mondo si arriverà a produrre oltre 6 miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno, con spese di gestione che raggiungeranno i 400 miliardi di dollari e danni per l’ambiente.
La metà è rappresentata da rifiuti urbani (quelli prodotti dalle famiglie), mentre l’altra metà riguarda i rifiuti cosiddetti speciali, provenienti cioè da attività industriali e produttive. Nel giro dei prossimi 10-15 anni si potrebbe arrivare a un aumento di questa produzione anche del 50%; quindi oltre 6 miliardi di tonnellate. Bisogna far pagare tariffe molto più alte a chi non adotta la raccolta differenziata e bisogna superare la logica delle discariche e degli inceneritori, prevedendo di realizzare quei punti previsti dalla legge Rifiuti zero, puntando sulla riduzione a monte dei rifiuti, il recupero e il riutilizzo. Solo così si può realizzare un’economia circolare virtuosa che non porta più ad interrarre (discariche) e bruciare (inceneritore) rifiuti, una gestione virtuosa dei rifiuti, occasione di lavoro attraverso riciclo e riutilizzo. Si possono ad es., incentivare le aziende della filiera dei rifiuti, ad inserirsi nelle aree dei piani di insediamento produttivi dei territori (aree Pip).
Avete progetti per l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio?
All’Ente Parco innanzitutto servirebbe un Presidente che faccia il Presidente. Casillo, messo lì dal suo omonimo, non ha fatto nulla se non sottoporre il Parco alla legge del mercato. Dagli incendi del 2017 poco o nulla è stato fatto se non recuperato 300, 400 metri di sentiero. Ci sono ancora 3.500 ettari anneriti con un pericolo di incendio costante. Occorre un piano di riforestazione immediato e massiccio, utilizzando i Fondi europei.
Cosa bisognerebbe fare per mettere il sicurezza il territorio?
Ad ogni evento sismico e piovoso ci ritroviamo a piangere vittime. La degradazione del suolo è la principale fonte del dissesto idrogeologico. La cura e la manutenzione del territorio sono scelte
indispensabili per il nostro Paese, in modo particolare per la nostra Regione, teatro di grandi speculazioni edilizie e governata a colpi di condoni. Finché il governo del territorio sarà guidato dalle rendite e dalla speculazione edilizia, dagli affari illeciti, continueranno a persistere
le condizioni di degrado nelle aree metropolitane delle città, producendo devastazione ambientale e danni alla salute pubblica. Oltre ad intervenire sulla prevenzione con l’efficientamento energetico ed antisismico, bisogna avviare una grande moratoria contro il consumo del suolo anche attraverso il restauro del patrimonio naturale paesaggistico e culturale. Troppo spesso il consumo del suolo non ha dato neanche risposte all’emergenza abitativa, bisognerebbe puntare su un piano di recupero e di riqualificazione dell’esistente che producono anche lavoro, marginalizzando le grandi imprese colacemento. Una grande operazione di manutenzione del territorio riguarda anche la rivisitazione della rete idrica. Proprio in questi giorni i Comuni a Nord di Napoli sono rimasti senza acqua, con questa calura ed emergenza Covid, tutto è ancora più drammatico. Dispersioni continue della rete, fanno lievitare i canoni idrici mettendo in ginocchio i Comuni e quindi, le famiglie. Le uniche grandi opere pubbliche che ci interessano sono quelle che riguardano la manutenzione del territorio.
L’amministrazione De Luca si è data da fare per privatizzare la gestione dell’acqua con la legge regionale 15 del 2015 per privatizzare il SII: cosa farete in merito? Che pensi della decisione di dare in gestione l’invaso di Campolattaro alla società privata Acqua Campania?
La legge regionale 15 del 2015 limita fortemente il potere decisionale dei sindaci e delle comunità locali, e rinnega il referendum votato da 2 milioni e 400 mila cittadini campani, volto alla gestione interamente pubblica e partecipata in tutti i Comuni. De Luca non ha rispettato l’esito referendario, mentre in campagna elettorale diceva di essere per l’acqua pubblica.
La nuova legge ha istituito l’Eic, Ente idrico campano, quale ente di governo del servizio idrico integrato. È l’Eic a decidere sulla gestione dell’acqua in Campania. Si tratta del cosiddetto Ato unico regionale. L’Ato unico centralizza a livello regionale le decisioni e riduce l’autonomia degli enti locali. 20 uomini scelti dalla Regione potranno affidare governance e fonti dell’acqua a multinazionali. E i sindaci che rappresentano i cittadini sono stati esclusi dalle decisioni: una grossa ferita per la democrazia. Secondo questa legge ci sono cinque Ato distrettuali che corrispondono ai cinque ambiti territoriali preesistenti. Ma resta il fatto che solo l’Ente idrico regionale adotta il Piano d’ambito, individua il soggetto gestore e provvede all’affidamento del servizio, sia pure nel rispetto delle forme gestionali definite da ciascun Consiglio di distretto. Questa legge inoltre penalizza il Comune di Napoli e la sua esperienza di ripubblicizzazione dell’acqua, perché il riferimento alla rappresentanza demografica mette in minoranza il Comune di Napoli. Napoli, con il suo milione di abitanti, ha meno rappresentanti dell’insieme dei comuni della Città metropolitana. È in pericolo il progetto di gestione interamente pubblica attuato mediante la trasformazione della vecchia Arin nell’Abc. Questa legge è un aiuto a Gori e a tutti i gestori privati e obbedisce a un disegno delle multinazionali, che è quello di creare una grande multiutility di tutto il centro sud che gestisce, acqua, energia, rifiuti.
Insomma, questa legge regionale promuove una politica sull’acqua pubblica in continuità con quella della giunta Caldoro che era stata bocciata dalla Corte costituzionale. E in contrasto con il voto degli italiani nel referendum del 2011. Bisognerebbe quindi cancellarla e ripubblicizzare la gestione dell’acqua in tutta la Regione.
La Provincia di Benevento ed Acqua Campania SpA hanno presentato un progetto per la potabilizzazione dell’invaso di Campolattaro (Bn), a seguito del protocollo d’intesa sottoscritto tra le parti il 15 maggio del 2019 per la potabilizzazione e l’utilizzo per fini irrigui dell’acqua dell’invaso. La potabilizzazione e l’utilizzo per fini irrigui dell’acqua della diga potrebbe diventare una grande opportunità per lo sviluppo dei nostri territori. Siamo in presenza di un’opera colossale, perché l’invaso raccoglie quasi 100 milioni di litri cubi d’acqua e la sua potabilizzazione sarebbe in grado di erogare 2.600 litri di acqua al secondo. Quello che non va bene è che la gestione dell’invaso sia affidata ad Acqua Campania SpA che non è affatto pubblica ma ha fra i suoi azionisti la potente multinazionale francese Veolia, Caltagirone e altri privati.
La pandemia ha messo in luce i disastri di 10 anni di commissariamento. La sanità ha subito drastici tagli al personale e alle strutture che dovrebbero garantire salute. Che fare?
Abbiamo assistito in questi anni alle conseguenze di clientele e corruzioni che, attraverso la logica dei “piani di rientro” dal debito sanitario, hanno prodotto enormi tagli dei posti letto, accorpamenti di divisioni specialistiche, della cancellazione di interi ospedali, di riduzione di ben due terzi dei posti letti della terapia intensiva, della destrutturazione di pronti soccorso, della soppressione dei primi soccorsi territoriali determinando di fatto una Sanità che si avvia sempre di più verso la privatizzazione, mettendo una pietra tombale sul diritto alla cura. Bisogna assumere personale sanitario e ripristinare gli ospedali soppressi. La Sanità non è un campo da cui si deve trarre profitto. È un dovere dello Stato curare tutti e bene.
I provvedimenti di De Luca sono validi per risolvere il problema delle classi pollaio?
La scuola è un bene comune ed un diritto per tutti, ma nonostante ciò, durante questa emergenza Covid sono emerse visibilmente profonde diseguaglianze che hanno riguardato tanti ragazzi della nostra regione. Per questo occorre una scuola “aperta e inclusiva”. Bisogna immaginare nuovi percorsi di scolarizzazione, in questa fase con classi più piccole, procedendo celermente con l’assunzione del personale. La Campania è in una condizione di altissima precarietà e di disoccupazione fuori controllo. Crisi ambientale e crisi sociale credi siano connesse?
La prolungata crisi che stiamo vivendo è una crisi economica a cui si affianca una crisi ambientale, di cui l’evidenza più palese è il cambiamento climatico, nonché una crisi sociale, in cui il peggioramento della qualità della vita si accompagna ad una crescita delle disuguaglianze. Sono moltissime le evidenze che ci mostrano come negli ultimi dodici anni, il nostro modello di sviluppo abbia intaccato l’ economia, così come pure la vita della società e la natura. È necessario un nuovo modello di sviluppo orientato alla sostenibilità, che si accompagni con la salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente: la nostra casa comune, come l’ha definito Papa Francesco, capace di fornirci risorse essenziali per la vita. La Green Economy può essere la soluzione perché costituisce un’importante opportunità per le imprese che hanno deciso di investire in tale ambito. L’annuale rapporto di Unioncamere e Fondazione Symbola, ci mostra come quel terzo di imprese che hanno effettuato investimenti green negli ultimi anni esportano di più, sono più innovative e presentano dati di fatturato migliori. Anche le ricadute occupazionali appaiono molto interessanti: più lavori, stabili, qualificati, legati all’innovazione.

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