Dal distanziamento sociale al riavvicinamento alla politica

di Giovanni De Stefanis

 

Eludere il passaggio fondamentale della nostra Costituzione, rappresentato dall’ art.49 – come ormai si sta facendo da alcuni decenni, picconando con colpevole e, spesso, dolosa disinvoltura il sistema dei partiti – non è sinonimo di indipendenza ma di aristocratico distacco dalla politica. Un disimpegno che sta gradualmente indebolendo le nostre istituzioni rappresentative fino a svuotarle di qualsiasi autorevolezza.

 

Commentando a 30 anni dal varo della Costituzione l’art.49 ( di cui era stato l’estensore ) Lelio Basso scriveva :” Oggi il cittadino che deve occuparsi di politica, che vuole veramente partecipare all’esercizio della sovranità popolare, lo può fare ogni giorno, perché, attraverso la vita del suo partito, la sua partecipazione all’organismo politico cui aderisce, egli è in grado di controllare giorno per giorno, d’influire giorno per giorno, sull’orientamento politico del suo partito e, attraverso questo, sull’orientamento politico del parlamento e del governo. E’ un esercizio direi quotidiano di sovranità popolare che si celebra attraverso la vita dei partiti, e i partiti di massa sono veramente oggi la più alta espressione della democrazia perché consentono a milioni di cittadini di diventare ogni giorno partecipi della gestione politica della vita del paese “.

 

Ecco, amici carissimi, perché suona ormai fastidiosamente inutile l’invocare il ruolo centrale del Parlamento nel momento in cui – mettendo alla gogna il sistema dei partiti senza fare distinzione tra bambini da salvare e acqua sporca da buttare – abbiamo finito con il recidere quel legame vitale, ben previsto in Costituzione ( e fatto di elaborazione di idee, di confronto anche conflittuale, di consensi e dissensi, di conoscenza dei problemi e di ricerca delle soluzioni, di tanto studio e di tanta, paziente mediazione ) che avrebbe potuto alimentare e ri-generare istituzioni che la logica delegante del maggioritario ha reso sempre meno rappresentative e sempre più autoreferenziali.

 

Agli amici dell’ ANPI vorrei dire, allora, che  il 25 aprile o il 1° maggio non possono più essere giorni in cui ‘ rinasce la libertà ‘ se per libertà intendiamo il tenere a debita distanza i luoghi dell’ impegno politico e sindacale ( brutto, sporco e cattivo ) illudendoci di poterli sostituire con la  militanza ( virtuosa perché a-politica )  in associazioni della cosiddetta ‘ società civile “, dedite – meritoriamente, s’intende – all’ assistenza degli ultimi.

 

Una società civile, per giunta, che – essendo ormai a-ideologica, a-politica e a-partitica – avrebbe  bisogno, per  sentirsi comunità, di stringersi intorno al tricolore ( ritorna qui il tema della patria ) e che dovrebbe essere in grado di occuparsi di….quisquiglie come la pandemìa , il riscaldamento del pianeta e le disuguaglianze socio-economiche, senza che sia stato elaborato uno straccio di cultura alternativa al pensiero dominante liberista, forte di  quel suo inossidabile ‘ mito del profitto ‘che, di deregolamentazione in deregolamentazione,  resta la vera causa scatenante di quelle….quisquiglie.

 

Io non credo nelle piazze virtuali né che i nostri computer e i nostri smartphone possano coprire il grande vuoto di politica militante che caratterizzava l’Italia prima che il Covid 19 ci riducesse a cittadini discretamente impauriti, ubbidienti e solidali per necessità, pronti ancora una volta a delegare i pieni poteri a chiunque ci liberi da questa assurda prigionia.

 

Personalmente cercherò di riflettere sui valori della Carta Costituzionale collegando idealmente coloro che hanno dato allora la propria vita  e coloro che continuano a darla oggi , in questi giorni e in queste ore, per salvare le nostre , di vite, e renderle più umane, più solidali, più  aperte e disponibili ad un  impegno sociale e politico sempre più generoso e sempre più gratuito..

 

 

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